CURIOSANDO
IL MONDO GASTRONOMICO DELLA CUCINA EBRAICA
E’ bene chiarire perché la cucina ebraica è così caratteristica per lo studio della cultura alimentare del territorio in cui è fiorita.
La comunità ebraica diventa, una volta stanziatasi definitivamente, il nucleo più antico di una città, il più tradizionale e il più conservatore del sapere e, in questo caso, dei sapori di un luogo. In pratica la comunità ebraica incarna la memoria storica di una città.
È imprescindibile tenere a mente le norme alimentari che caratterizzano il rapporto che l'ebraismo intesse con il cibo. Particolare rilievo è il divieto del sangue, per questo la normativa ebraica è centrata sulla questione dell’alimentazione della carne, e ogni cibo permesso viene identificato come kasher; il contrario di kasher è taref.
Le principali regole della kasherut, riassunte in pochi punti, sono:
Distinzione tra animali permessi e proibiti - Vi è una lunga lista di carni lecite e di carni proibite, dei loro derivati e delle parti del corpo che possono essere consumate. Per quanto riguarda gli animali acquatici, si possono mangiare tutti quelli che hanno pinne e squame
Macellazione rituale degli animali permessi – La cosiddetta shechitah. Colui che esercita il mestiere di macellaio rituale, lo schochet, deve avere la competenza per farlo, deve cioè conoscere approfonditamente le regole ed essere dotato della licenza fornita dai rabbini. La macellazione ebraica prevede uccisione dell’animale con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo, in modo da provocarne l’immediata morte e il completo dissanguamento. Successivamente vengono esaminati gli organi interni dell’animale per controllare che non ci siano difetti o tracce di malattia che lo rendano impuro: questa operazione si chiama bediqat, controllo. Ogni animale non macellato secondo le regole è automaticamente impuro, illecito.
Affinché venga spurgato tutto il sangue rimasto dopo la macellazione rituale, sono prescritte la salatura delle carni e la scottatura del fegato.
Le altre norme sono: divieto di consumare alcune parti di grasso, di mangiare il nervo sciatico, di mangiare parti tratte da animali vivi, di mangiare un animale permesso e macellato ritualmente qualora presenti malattie o difetti fisici, di mescolare carne e latticini nello stesso pasto.
Avendo chiare a grandi linee queste prescrizioni alimentari, sarà più facile comprendere in che modo queste hanno influenzato la cucina ebraica. L'identità alimentare associata alla religione si manifesta non soltanto in relazione al tipo di interdizioni religiose ma anche, e soprattutto, nelle scelte dettate dalle disponibilità alimentari di un paese o di un periodo storico (gli ebrei sono stati tra i primi a utilizzare le melanzane e le patate appena introdotte in Europa), arrivando in molti casi a risultati sorprendenti e spesso di grande rilevanza proprio grazie alla flessibilità e capacità di declinarsi geograficamente.
La cucina ebraica è una cucina sefardita, originaria del bacino del Mediterraneo, che ha il profumo della tradizione degli Arabi di Spagna e di Sicilia e profondamente intessuta di finezze italiane. In particolare la cucina ebraica italiana sembra divisa dalla linea rappresentata dalla dorsale appenninica. Da una parte abbiamo un'alimentazione caratterizzata dal consumo dell'oca (definita giustamente il “maiale” degli ebrei), il cui grasso “unge” la gastronomia popolare, nata dalla fusione di elementi propri della cucina araba con i piatti contadini della regione padana, dove erbe e radici erano consumate in grande quantità. Dalla parte opposta abbiamo invece una cucina ben rappresentata dagli ebrei di Roma. La cucina ebraica romana, caratterizzata dall'uso pressoché esclusivo dell'olio di oliva per la cottura e il condimento, è stata condizionata da forti influssi meridionali. Originaria della comunità sefardita del litorale tirrenico e della Toscana (specialmente da Livorno), si fuse con la cucina locale acquisendo elementi tradizionali dell'alimentazione giudeo-iberica.
Nella storia della cucina italiana gli ebrei sono fondatori della tradizione romana delle frattaglie e della carne secca. Le prime, definite "quinto quarto", consistevano in cervello, animelle, trippa, milza e fegato. Prima di essere cucinate andavano ben arrostite sulla graticola per togliere ogni traccia di sangue. Un elenco tratto dagli Archivi della Comunità Ebraica ci riporta tutta una serie di ricette: “Animelle con i ceci, trippe con l’agliata, lingue salmistrate, milze in padella con la salvia e l’agresto [l’agresto è una salsina densa a base di mosto d’uva, dal sapore acidulo, usata come condimento], creste di pollo con aceto e cannella.” Sono cibi antichi, che oggi non sarebbero tutti graditi ma che rappresentano l’inizio della tradizione.
La carne secca era preparata con la cosiddetta copertina di pezza, un taglio tratto dal quarto posteriore dell'animale in prossimità della coda con il pregio di avere da un lato uno strato di grasso. Famose sono le coppiette, fettine seccate al sole con pepe e sale, che si preparavano in genere con la carne dei bufali della campagna romana. Gli ebrei erano ghiotti di queste pietanze dal gusto forte e saporito, tanto da avere il monopolio della macellazione della carne di bufala (ritenuta dagli altri romani e dal clero un animale di qualità inferiore).
Agli ebrei è fatta risalire anche la tradizione del brodo di pesce. Questa specialità culinaria, oggi di nuovo in voga e considerata anzi una prelibatezza, nasce dalla prossimità del ghetto romano con la zona più degradata e più sporca della città, accanto al complesso monumentale augusteo, attorno al Teatro di Marcello che, durante il Medioevo, divenne il mercato del pesce di Roma. La vicinanza del Tevere e del porto fluviale di Ripa Grande garantivano un comodo approdo alle barche provenienti da Ostia, pronte a rifornire il mercato del pesce migliore. Tutti gli scarti (teste, lische e pesci, o parti di pesce, meno nobili) venivano presi dalle donne ebree, e l’unico modo di utilizzarli era cucinarli con l'acqua. Nacque così uno dei piatti della Roma popolare e in particolare del ghetto: il brodo di pesce, allora una ricetta semplice e povera e ora uno dei piatti più richiesti nei ristoranti della zona.
Va detto che la scelta del pesce da utilizzare da parte degli ebrei del ghetto era stata decisa dal governo pontificio. Le leggi suntuarie emesse nel 1661 dalla stessa comunità ebraica di Roma con il fine di eliminare lussi e sprechi, erano in realtà nate per conformarsi alla volontà dei papi, che avevano stabilito che il pesce autorizzato per le mense ebree era quello azzurro, e in particolare le sardine e le acciughe. È grazie a prescrizioni come queste che nel ghetto di Roma è nata una seconda ricetta altrettanto famosa quanto il brodo di pesce: gli aliciotti con l'indivia, un tortino fatto di acciughe, private della testa e spinate, disposte in una teglia a strati alternati con indivia bianca, cotto al forno con olio e pepe.
Non vanno poi dimenticati i fritti e in particolare i carciofi alla giudia. All'inizio del secolo, i carciofi alla giudia erano già un'autentica attrazione del turismo internazionale. Hans Barth, autore di una celebre “Osteria, guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri”, introduceva così la presenza nel ghetto di palazzo Cenci, con le fosche storie della sua protagonista, Beatrice "[...] dove Beatrice dalle trecce d'oro/ protese un giorno la sua testa bella/ Padre Abramo con fervido lavoro/ i suoi carciofi arrosola in padella".
Il fiore all’occhiello della cucina ebraica a Roma è la pasticceria. La maggior parte dei dolci elaborati dalla cucina romana, per lo più quelli basati sulla frutta secca, il miele e i canditi, nascono all'ombra della tradizione ebraica. Tra questi svetta uno dei più antichi dolci ebraici, il tortolicchio. Ebraico-romano di origine, le sue prime tracce risalgono alla Roma medievale e rinascimentale. Simile ma diverso dal comune mostacciolo, questo biscotto pregiato era protetto da una ricetta che si tramandava di padre in figlio, dagli artisti della pasticceria di piazza Giudia, di via Rua e della Fiumara, sulle rive del Tevere. Accanto ai tortolicchi, nelle pasticcerie del ghetto, si affiancavano dolci come la pizza dolce ebraica, il tortello a forma di rombo e i biscottini de ciambellaro. A chiudere il tutto un altro dolce ebraico molto antico: la nocchiata, una sorta di torrone di noci, mandorle e nocciole, fritte nel miele. Di origine araba, la troviamo sulle tavole romane già intorno al 1320 e negli elenchi delle pietanze e biscotti per la festa di Purim
Abbacchio è il termine romanesco che indica l'agnello giovane, lattante, macellato per la vendita, che conserva, nella storia della cucina romana e laziale, un ruolo fondamentale. Gli antichi romani preferivano il capretto all'agnello anche se per Giovenale il giovanissimo agnello (abbacchio) era: "il più tenero del gregge, vergine d'erba, più di latte ripieno che di sangue".
Campo Vaccino, sede del mercato del bestiame, è il luogo in cui, già dal '400, si teneva il mercato degli abbacchi, degli agnelli, dei castrati e delle pecore. Il consumo era considerevole nel corso della cosiddetta "agnellatura" (macellazione dei capi da uno a sei mesi di età) che si teneva nel periodo compreso tra Aprile e Giugno. Nell'agro romano in occasione dell'abbacchiatura e della tosatura, i pastori usavano banchettare con la "pagliatella", cioè la carne più grassa dell' intestino dell'abbacchio cotta alla brace, e la "pezzata" ossia carne di pecora tagliata a pezzi.
Esecuzione: La sera prima si mette
in fusione l'agnello con un paio di spicchi d'aglio, un rametto di
rosmarino, sale, pepe e olio.
Si cuoce in una teglia unta nel
forno alla massima temperatura per 5 o 6 minuti innaffiando col vino,
poi aggiungere le patate a pezzi. Guarnirlo con un altro rametto di
rosmarino e uno spicchio d'aglio e rimetterlo in forno a 180°C.
Servire ben caldo.
ARROSTO PROFUMATO Il magatello si riconosce subito in quanto ha una dimensione cilindrica ed è stretto e lungo, simile come forma al filetto, ma più grande. Il suo utilizzo è ampio, e alcune volte viene usato per fare il roast-beef, poiché ha la forma molto simile ed è magro.
Esecuzione per 1 Kg. di magatello o noce di vitello. Si prepara una crema con olio, 2 spicchi di aglio, salvia, timo e rosmarino tritato. Si taglia a metà la carne e la si farcisce con la crema aromatizzata, lasciandola poi riposare in frigorifero per 1 ora. Intanto si cucinano i funghi con un po' di brodo, aglio e un pizzico di sale. Si riapre la carne e vi si aggiungono i funghi cotti. Si chiude l'arrosto con degli spiedini o con spago e si mette in teglia con un po' di sale e 1 bicchiere di brandy. Si cuoce in forno a 200° per 1 ora.
CACCIUCCO DI POLLO - Rosolare 1 pollo tagliato in 8 pezzi, unire 1 spicchio d'aglio con prezzemolo tritato e lasciare insaporire per 5 minuti. Versare 1/2 kg. di pomodori pelati e 1 etto di olive agliate (badate che siano disossate). Se il sugo dovesse asciugarsi troppo diluire con una tazza di brodo. Intanto abbrustolite delle fette di pane casalingo e profumatele di aglio. Preparate il piatto di portata con: le fette abbrustolite e agliate, il pollo e infine cospargete col sugo di cottura.
CAPPONE ARROSTO
E' preferibile scegliere un cappone del peso di 3-3,5 kg massimo affinché risulti più tenero.
Condire l'interno e l'esterno del cappone il giorno prima con gli aromi (v. BATTUTO DI AROMI E SPEZIE) sale, succo di limone e olio. Conservarlo in frigorifero affinché s'impregni bene.
Il giorno dopo, tirare il cappone fuori dal frigorifero almeno un'ora prima di cuocerlo, lasciandolo riposare a temperatura ambiente.
Durante la cottura
in forno, bagnate regolarmente il cappone con acqua
e vino bianco mescolati insieme. Cuocere il cappone prima su una coscia, poi
sull'altra, e infine sul dorso.
Dopo la cottura, lascia riposare il cappone cotto
coperto almeno per un quarto d'ora prima di tagliarlo, affinché la sua carne
risulti tenera.
Ingredienti: 1 cappone, 25° g di salsiccia di tacchino fresca, 40 g di mollica ammollata di pane, 1 uovo, 1 cipolla dorata, 1 bicchiere di Porto, 1 mela renetta, 50 g di castagne cotte, 4 fichi secchi, 3 prugne secche, olio extra vergine di oliva q.b., 1 mazzetto di salvia e rosmarino, mezzo bicchiere di vino bianco secco, sale e pepe q. b.
Preparazione: sbucciare la cipolla e tagliarla a fette sottili. In una padella antiaderente rosolare la cipolla nell’olio a fuoco dolce poi, una volta intenerita, regolate il sale e sfumate con il Porto e appassire fino a quando risulterà sciropposo. In una terrina raccogliere la salsiccia privata dalla pelle, incorpora le uova, la mollica di pane ben strizzata e la cipolla stufata. Far rosolare il composto con l’aggiunta di sale e pepe, ricordando che la frutta tende ad addolcire la farcia. Togliere dal fuoco e unire la frutta tagliata a pezzetti, mescolando con le mani.
Svuotare il cappone delle interiora, lavare ed asciugare il suo interno, quindi salare e pepare. Riempire la cavità con il ripieno e chiudere il tutto cucendo l’apertura con filo da cucina o con uno stecchino. Legare il cappone con alcuni giri di spago e metterlo in una teglia, ungere con un filo d’olio, unire gli aromi, salare e infornare a 170°. Fate cuocere per 1 ora circa (dipende dal peso del cappone, se grosso anche 1 ora e mezza), avendo cura di bagnare spesso con il sugo di cottura.
N.B.
Oltre alle classiche, patate al forno, potrete
accompagnare il cappone con numerosi altri contorni.
I più indicati sono quelli con gusto agrodolce o verdure
dal sapore dolce come le carote, che si sposano bene con la finezza della carne
del cappone.
Potrete quindi accompagnarlo con cipolline in agrodolce,
bastoncini di carota con uvetta e pinoli, o cavolo rosso
stufato e condito con aceto balsamico, oppure un misto dei tre.
La prima cosa da fare è procurarsi una vaschetta di cervella di vitello e una di fegatini di pollo.
Se non trovate la cervella già pulita, dovrete staccare la membrana che la ricopre: immergetela (già salata e lavata) a bagno in acqua bollente per qualche minuto. Togliete dall’acqua e passate all’eliminazione della membrana.
Tagliate a tocchetti. Pulite, salate e lavate i fegatini.
In un piatto fondo sbattete un uovo con del sale. Immergete i pezzetti nell’uovo e poi nel pan grattato.
Scaldate l'olio in una grande padella e friggete i pezzetti, possibilmente tutti insieme, girandoli di tanto in tanto.
Aggiustate sale e pepe e servite caldi .
Ingredienti: 4 belle cipolle, 3 etti carne macinata, 3 uova, 4 cucchiai pangrattato, olio, sale.
Procedimento: Sbucciate le cipolle e scottatele in una pentola
in cui avrete posto l'acqua ed il sale per 3 minuti, quindi sgocciolatele e
lasciatele raffreddare.
Tagliate le cipolle in due e sfogliatele con cura, lasciando da parte le foglie
più piccole interne.
Mescolate la carne tritata con le uova, il pangrattato, l'interno delle cipolle
tritate, olio e sale. Farcite una foglia di cipolla con la carne e chiudete con
un'altra foglia, in modo da riformare una cipolla intera. Cuocere in forno con
patate, sale e olio.
CODA DI BUE ALLA VACCINARA
Fa parte della tradizione giudaico–romanesca che, formatasi nel corso dei secoli, ha saputo esprimere piatti eccezionali, per gusto e sostanza, da materie prime povere del territorio laziale.
Esecuzione: spezzate 1 kg di coda vaccina nelle vertebre e mettete i pezzi un una bacinella, lasciando almeno tre ore in acqua corrente con il rubinetto aperto a filo. Lessate i pezzi in acqua salata per almeno due ore (30 minuti in pentola a pressione) poi estraeteli, sgocciolateli e soffriggerli in un tegame con l'olio e un trito di cipolla, sedano, carota, aglio e prezzemolo, tagliati finemente. Regolare sale e pepe. Quando la carne sarà colorita versare 1/2 bicchiere di vino rosso e non appena sarà evaporato aggiungere 300 g di salsa di pomodoro. Si cuoce a fuoco basso e con il coperchio per circa 2 ore, aggiungendo acqua se necessario, fino a che il sugo diventi denso. All'ultimo momento aggiungete i pinoli e l'uva sultanina. Versate in un caldo piatto di portata la pietanza romana e servitela fumante in tavola.
Tradizionalmente si utilizza il sugo così ottenuto per condire la pasta, in genere rigatoni, e si mangia la carne come secondo.
Nota: non aggiungo un tocchetto di cioccolato amaro, come detta la ricetta originale, perché non mi piace.
CODA ALLA VACCINARA di Emma Piattelli
In una pentola capiente
metti 10 coste di sedano, una cipolla media, olio, sale, passata di pomodoro
abbondante, un cucchiaino di cacao amaro e acqua fino a coprire la coda.
Mandare in ebollizione tutto poi abbassare la fiamma e coprire. Lasciate cuocere
per circa 3 ore se di manzo e 2 se vitello. Se necessita aggiungere acqua
di tanto in tanto. Quando la forchetta entra nella carne è pronta.
Collo di pollo, di tacchino o di oca, a piacere.
Una ricetta di tradizione ebraica
che ha messo radici in Lombardia e in Toscana secoli fa con il
diffondersi delle comunità ebraiche in queste regioni.
Esecuzione: dovete far "scivolare" la pelle
lungo il collo, estraendola come se fosse un guanto, lavatela e
assicuratevi che sia intatta, altrimenti durante la cottura il
ripieno potrebbe uscire.
Ricetta 1 - Tritare con la mezzaluna le
frattaglie del pollo, farle rosolare bene in olio d'oliva e fare un
bell' impasto mescolandole con: lingua salmistrata (o carne
macinata) - pistacchio -1 uovo-pane ammollato e strizzato - battuto
di aglio - prezzemolo tritato - pepe - noce moscata; con questo
impasto riempire il collo del pollo disossato, cucirlo in fondo e, se
necessario, legare la punta; farlo lessare nel brodo con gli odori.
Da affettare come un salame quando è freddo.
Ricetta 2 -
Fate fondere in una casseruola larga e bassa il grasso di oca,
portatelo ad una buona temperatura ed immergetevi il rotolo farcito,
lasciandolo cuocere, a fiamma moderatissima, per 2 ore (il grasso non
deve assolutamente bollire).
Trascorso questo tempo, togliete il
collo dal recipiente e lasciatelo raffreddare; tagliatelo quindi a
fette e servitelo su un letto di gelatina
Fette di carne della coda di pezza trattata con abbondante sale, pepe e/o peperoncino, legate in coppia con un caratteristico filo rosso e lasciate seccare al sole d’estate per qualche settimana, oppure affumicate al fuoco di un camino per 2 o 3 giorni. Durante questo processo la carne subisce un forte calo di peso, pari a circa 60%
La ricetta:
Mescola il sale col
pepe o peperoncino tritato. Condisci la carne tagliata a strisce
sottili con la miscela ottenuta, inumidiscila con vino rosso, ponila
in un piatto coperta da pellicola trasparante e lasciala in frigo per
48 ore.
Appendi poi le coppiette alla cappa del camino, o al sole
fino a quando non siano completamente essiccate
CURIOSANDO - La tradizione storica delle coppiette è secolare. Al tempo dell'antico Ghetto a Roma, le coppiette venivano vendute nelle osterie romane, servite in cesti di paglia, per incrementare la sete degli avventori.
I venditori ambulanti, detti "coppiettari", passando per le strade della città al grido "coppiette!" le offrivano ai passanti accompagnandole ad un bicchiere di vino.
Coratella si intende l’insieme delle interiora dell’abbacchio che vanno dalla trachea ai polmoni insieme al cuore, al fegato, alla milza ecc.
Ricetta:
Prendere una coratella di agnello, lavarla bene e tagliarla a tocchetti.
Nell’olio di oliva fate appassire uno spicchio d’aglio tritato e 2 o 3 cipolle grandi affettate fini, aggiungervi i pezzi di coratella avendo cura di iniziare con il polmone poi dopo qualche minuto il cuore e per ultimo il fegato e la milza.
lasciateli cuocere con coperchio fino a quando quasi tutto il liquido rilasciato dalla carne non si sarà asciugato. Aggiungete anche il peperoncino, regolate di sale e versare un bicchiere di vino bianco secco. Mescolate di tanto in tanto.
La coratella non va servita troppo asciutta; al termine della cottura deve rimanere un sughetto che verrà utilizzato sia per umettare la carne, che per fare "la scarpetta" (intingerci il pane) solo e RIGOROSAMENTE con le mani. Chi vuole rispettare il galateo è meglio che non mangi la coratella.
DORO WOT E SEGA' WOT
(da ricetta di Abeba, la mia carissima e mai dimenticata mamitè di Addis Abeba)
Ingredienti per 6 persone: 1,5 kg di pollo, 2 cipolle affettate, 2 spicchi d'aglio schiacciati, 500 g di pomodori pelati, sale, 100 g di vino bianco secco, 3 cucchiai di berberè (una mistura di peperoncino, aglio, chiodi, di garofano, coriandolo, ginger fresco), 6 uova sode.
Tagliate il pollo in piccole
porzioni (io uso anche i petti di pollo). Mescolate la cipolla
affettata con l'aglio e fatela appassire in una teglia antiaderente
tenendo il fuoco basso per 2 o 3 minuti. Unite il vino e il berberè.
Se non sopportate il "piccantissimo" diminuite la dose del
berberè.
Cuocete per altri 4 o 5 minuti, finché la
salsa non sia diventata cremosa, poi unire i pomodori pelati.
Aggiungete il pollo e dopo 15 minuti le uova sode private del guscio
e bucherellate con la forchetta. Aggiustate il sale. Mettete il
coperchio e lasciate cuocere a fuoco basso per ancora mezz'ora. Se la
salsa si addensa troppo diluite con un bicchiere d'acqua.
Si serve con l'injera, ma a me piace
molto con un contorno di riso pilaf, o col couscous.
SEGA'
WOT O ZIGHINI'
In una teglia fate appassire 1 cipolla e 2 spicchi d'aglio tritati, aggiungere poi 3 cucchiai di berberè, 1 bicchiere di vino secco (o acqua) e sale. Fate restringere lentamente, poi aggiungere 500 grammi di pomodori pelati ed eventualmente un altro bicchiere d'acqua. Continuare a sobbollire per 1/4 d'ora, poi aggiungere ½ kg di manzo a cubetti piccoli. Finire di cuocere per circa un' ora, finché la carne è cotta e il sugo ristretto. Servite sopra l'injera.
Le buone maniere del luogo insegnano che questo piatto va mangiato rigorosamente con le mani. Si stacca con tre dita un pezzo di injera, fino a farne un piccolo fazzoletto, si poggia delicatamente sui pezzettini di carne e poi, stringendo i quattro polpastrelli, si fa in modo di pescare uno o più pezzettini di carne, lo si imbeve di salsa e, finalmente, si porta il tutto alla bocca.
L'injera
è il pane etiope. Assomiglia ad una grossa crêpe grigia,
un po' spugnosa, dal forte gusto acidulo che si spegne sotto le
vampate piccanti del berberè.
CURIOSANDO - LA STORIA DELLA REGINA DI SABA
In
nessuna parte del Mondo la leggenda della regina di Saba è più
viva che in Etiopia. Infatti per questo popolo rappresenta il mito
fondamentale della loro civiltà.
La storia tramanda che
Saba, regina di Axum, aveva sentito decantare la saggezza del re
Salomone e volle fargli visita per mettere alla prova la sua sapienza
proverbiale. Della visita a Gerusalemme, avvenuta tra il 1000 ed il
950 a.e.v. vi è menzione nel "Kebra Nagast, Gloria dei
re" che è il libro fondamentale per la storia dell'impero
degli altopiani, elaborato in Etiopia nel XIV secolo.
Nel racconto
si dice che la regina di Saba, recatasi dal potente re Salomone per
sottoporgli alcuni enigmi, ne rimase affascinata. Dall'unione del re
Salomone con la regina, fu concepito Menelik (il cui significato
intrinseco è "Figlio dell'uomo saggio") che portava
nel sangue le tracce di una ascendenza divina e che sarebbe stato il
capostipite di una stirpe salomonica.
Menelik, cresciuto nella
propria Terra e divenuto re, fece proprio il simbolo del leone di
Giuda che innalzò a simbolo del suo regno. La leggenda vuole
che Menelik, divenuto maturo, intraprese il lungo viaggio, sulle orme
della madre, per incontrare il padre Salomone e quando fece ritorno
ad Axum, trafugò o gli fu affidata, l'Arca dell'Alleanza. E’
scritto che grazie ai poteri della stessa, i discendenti di Menelik
(falascià), avrebbero sollevato senza sforzo le centinaia di
tonnellate dei giganteschi obelischi eretti ad Axum.
Però
l'arca non arrivò ad Axum con Menelik, ma impiegò
qualche secolo dopo un lento peregrinare in terra d'Egitto. Questo
avvenimento è ricordato con i lenti ed esasperanti riti che la
Chiesa Copta etiopica celebra in onore dell'Arca, in occasione di
Ghenna e Timkat che sono il Natale e l'Epifania del rito copto. Le
feste di celebrazione di queste due ricorrenze fanno rivivere lo
splendore di quelle che furono le corti di Gerusalemme e di Axum.
Questa vicenda ha affascinato le decine di ricercatori che si
sono messi sulle tracce dell’arca. Sfortunatamente, ognuna
delle circa ventimila chiese copte dell’Etiopia custodisce una
copia dell’Arca. Trovare quella autentica (ammesso che ci sia)
è dunque come cercare un ago in un pagliaio.
Dalla
testimonianza di tre ricercatori italiani pare che la vera Arca sia
nascosta nella vecchia chiesa cristiana S.Maria di Sion ad Axum, una
chiesa costruita nel Seicento dall'imperatore Fasiladas, dietro
l'altare maggiore, protetta da un baldacchino di velluto rosso con
ricami ma, secondo la religione copta, non è concesso a
nessuno di vederla. Si dice che persino al negus Hailè
Selassiè, che ne aveva espresso il desiderio, venne opposto un
secco rifiuto. E si dice che l’accesso alla stanza dell’arca
sia consentito ad un solo abuna (la massima autorità
religiosa) per generazione.
Dalla mia collezione
Particolari
Curiosamente queste narrazioni sembrano dimenticare quanto scrive la Bibbia nel Secondo libro dei Maccabei, allorché viene raccontato dettagliatamente di come il profeta Geremia, salito sul monte Nebo, abbia deciso di nascondere l'arca "in un antro" poi murato, probabilmente per sottrarre il prezioso reperto alla furia delle armate del sovrano babilonese Nabucodonosor, che cingevano d'assedio Gerusalemme nel 587 a.e.v. Lo stesso Geremia, forse pentitosi della sua decisione, non sarebbe stato poi più in grado di ritrovare il punto esatto ove l’arca era stata occultata.
“In quel giorno il Signore si prenderà nuovamente il resto del Suo popolo, rimasto dall’Assiria e dall’Etiopia, e alzerà un vessillo ai popoli e raccoglierà i dispersi d’Israele, dai quattro angoli della terra” (Isaia 11: 11-12)
Dunque gli “ex” falascià, sarebbero i diretti discendenti di re Salomone e la regina di Saba, che nei secoli a venire hanno continuato a seguire i Comandamenti di Salomone. Perché ex? Perché “falascià” significa “straniero”, o ancora “colui che non possiede terra”.
Dal punto di vista religioso, i falascià sono i frutti dell’unione tra Salomone e la regina di Saba, questo creerebbe, secondo la visione dell’Ebraismo Ortodosso, alcuni problemi perché l’ebraicità è trasmessa in linea femminile, ed essendo la regina di Saba non ebrea, in teoria neanche i discendenti dovrebbero esserlo.
Ma le basi storiche del legame tra Etiopia e Israele esistono:
in un’isola del Nilo, ai confini tra l’Egitto e il Sudan, sono stati ritrovati i resti di un Tempio ebraico con una pianta simile a quella del Tempio di Gerusalemme, atto a contenere l’Arca. Questo sembra confermare la tradizione orale etiope secondo cui l’Arca approdò in un primo momento sul lago Tana, dopo essere stata trasportata lungo il Nilo Azzurro.
Se questo dimostra che vi furono influenze religiose intorno ai secoli VIII-VII a E.V., sicuramente più decisive da un punto di vista linguistico e culturale furono le possibili migrazioni di popolazioni semitiche che attraversarono il Mar Rosso dalla penisola arabica meridionale nel periodo iniziale dell’era cristiana. Ecco che nell’altopiano etiopico settentrionale le lingue più diffuse sono lingue semite (il tigrino e l’amarico).
Oltre alla lingua, ritroviamo anche altre tradizioni ebraiche quali la circoncisione, la divisione fra animali puri ed impuri, il divieto di cogliere frutti in certi giorni sacri.
La Bibbia ci narra che un enunco etiope, che si trovava a Gerusalemme per propositi di culto, importò la Cristianità in Etiopia nel primo secolo E.V.
Ma quando i missionari cristiani arrivarono in Etiopia non riuscirono a rimuovere le tradizioni così radicate, e il cristianesimo etiope assume caratteristiche proprie.
Dopo l’introduzione della Cristianità, gli insegnamenti dell’Antico Testamento e del Nuovo divennero le basi della Chiesa Ortodossa Tewahedo d’Etiopia.
A partire dall’anno 1000 gli ebrei etiopi avrebbero cominciato ad essere oggetto di molteplici e dure persecuzioni e vessazioni da parte delle popolazioni limitrofe di religione musulmana e ortodossa, subendo confische o sottrazioni di terre coltivate e di bestiame e altri atti di chiara intolleranza, quali la privazione dei diritti più elementari, la schiavitù e la cancellazione e profanazione dei luoghi e dei templi simbolo del loro credo, costringendo i religiosi a nascondere libri sacri e reliquie in luoghi inaccessibili.
Nel VI secolo, il nord Africa ed una parte del Medio Oriente furono invase dagli Arabi seguaci di Maometto. Di conseguenza l'Islam si espanse alle aree del mar Rosso e dell'oceano Indiano, indebolendo la Chiesa Ortodossa Etiopica ed ostruendo la sua relazione con il resto del mondo cristiano, e ancora nel XVI sec., un musulmano etiopico di nome Ahmed Gragn, aiutato e supportato dall'impero Ottomano, iniziò la propria campagna militare dalla parte orientale del Paese e giunse sino al nord, distruggendo un gran numero di chiese ed eredità culturali lungo tutto il Paese. Migliaia di uomini, donne e bambini, cattolici ed ebrei furono massacrati.
Nonostante tutte queste distruzioni, i Cristiani e i Falascià etiopici dell'epoca rimasero saldi nella propria fede, si unirono e, con notevoli sacrifici, difesero il Paese.
Dal XVII secolo in poi missionari protestanti giunti in Etiopia vennero a contatto con alcuni Falascià, completamente all'oscuro dell'esistenza di loro correligionari nel mondo, tentando di convertirli; iniziativa che riuscì soltanto in parte e solo molto più tardi, nel XIX secolo, grazie all'opera dei membri della London Society for Promoting Christianity among Jews. Per cercare di allontanare la minaccia missionaria, alcuni esponenti della comunità ebraica europea, tra cui il triestino Filosseno Luzzatto, iniziarono ad interessarsi della sorte di questi loro sconosciuti "fratelli neri", lanciando diverse campagne per sensibilizzare gli israeliti del continente: impegno che vide l'accorata partecipazione, morale e materiale, di eminenti rabbini spagnoli, boemi, tedeschi, inglesi, prussiani, galiziani e turchi.
Nel 1867, l'orientalista e studioso della Bibbia, Joseph Halévy, per conto dell'Alliance Israélite Universelle, iniziò ad approfondire gli studi sulla comunità dei Falascià onde verificarne le esatte origini e la purezza del credo religioso arrivando a stabilire circa la loro inequivocabile ebraicità. Fu comunque necessario attendere il 1905 perché l'entrata dei Falascià nella coscienza collettiva del mondo ebraico si consolidasse fino a diventare un fatto accettato, anche se con riserve.
Dal 1983, con 3 operazioni di soccorso, all'insaputa del regime filo-sovietico di Mengistu, condotte dal Mossad e chiamate in codice (guarda caso) "Operazione Mosè", "Giosuè" e "Salomone", i nostri compagni non sono più coloro che non hanno terra, bensì "Beta Israel", in “Casa di Israele”
FAGOTTINI DI CAVOLO FARCITI CON CARNE
Si usa per Simhà Torà
Ingredienti: 12 foglie di cavolo verza, 400 g di carne macinata, 1/2 cipolla, 1 uovo, 2 cucchiai di pangrattato bagnato col brodo, 1 tazza di salsa di pomodoro, mezzo bicchiere d'olio.
Scottare le foglie di cavolo per 2/3 minuti in acqua bollente e porle a scolare. In una terrina preparare un impasto con la carne macinata, l'uovo, il pangrattato, sale e pepe. In ogni foglia di cavolo porre una polpettina dell'impasto
legare l'involtino con un giro di filo bianco.
Far rosolare in una teglia la cipolla tritata nell'olio, unire la salsa di pomodoro, i fagottini e ricoprire di brodo.
Far cuocere molto lentamente, a teglia coperta, per almeno 2 ore. Quando saranno cotti il sugo deve risultare denso. Se necessario aggiungere un po' di brodo durante la cottura. Togliere il filo dai fagottini prima di disporli su un piatto da portata, coperti col loro sugo.
FAGOTTINI DI SOFKA
Lavare le foglie del cavolo in acqua con aceto, scolarle ed eliminare la nervatura centrale. Sommergerle 2 minuti in acqua bollente per ammorbidirle e poi sommergerle per 4 minuti in acqua gelata. Asciugarle. Mescolare 350 g di macinato con mezza tazza di riso crudo, 1 cipolla tritata, 1 pomodoro tritato, sale, pepe, 2 cucchiai di limone spremuto e 1 cucchiaio di zucchero. Stendere le foglie del cavolo, distribuire sopra il ripieno, arrotolarle e chiudere bene. Preparare la salsa di pomodori friggendo appena 1 cipolla tritata in un po' d'olio, aggiungere 1 scatola di salsa di pomodoro, 1 dado brodo vegetale, un po' di acqua, 1 cucchiaio di zucchero e 4 di limone. Appena bolle, unire i rotolini di cavolo uno accanto all'altro. Cuocere col coperchio per 45 minuti
Il patè di fegato è insieme al gefilte fish la ricetta askenazita più famosa. Era uso prepararla per Shabbath in quanto considerato un piatto ricco e perciò adatto alla festa. Si dice che il prelibato fois gras francese abbia proprio origine ebraica.
Friggere 500 g di fegato di vitello nell'olio; togliere il fegato e nell'olio così insaporito cuocere lentamente 2 cipolle bianche tagliate a mezza luna. Intanto preparare 5 uova sode e spellarle. Tritare col mixer il fegato, le cipolle imbiondite e le uova sode. Mescolare infine 2 cucchiaini di savora o mostarda, sale, pepe e olio. Foderare uno stampo con carta alluminio, versatevi il composto, distribuirlo uniformemente e riporre in frigo. Sformate il paté su un piatto, eliminate la carta e servite freddo.
Si può usare anche spalmato su crostini o tartine.
Dosi per quattro persone: lesso tagliato a fettine; 500 grammi di cipolle, 500 grammi di pomodori pelati, quattro cucchiai d’olio, basilico, sale e pepe, due uova, ½ limone.
Preparazione: tagliate la cipolla, mettetela in una teglia con l’olio e lentamente fatela cuocere. Quando sarà appassita e leggermente colorita aggiungete un ciuffo di basilico e i pomodori pelati a pezzetti. Salate e pepate. Poco dopo mettete il lesso ad insaporire in questa squisita salsa.
Prima di togliere dal fuoco versare le uova sbattute con il limone, facendole rapprendere leggermente, sempre girando.
CURIOSANDO - Alcuni legano l'origine del suo nome alla cucina francese per l'uso abbondante della cipolla. Ma anche se le truppe napoleoniche occuparono a più riprese Livorno, la Francesina non ha origini così antiche: nasce difatti sul finire dell'Ottocento, dopo che Livorno, abolito il porto franco, era entrata in crisi e, negli anni della povertà, non si butta via niente.
Era un piatto estivo, intriso di pomodori maturi; tocchetti di lesso rossi come i "pompons" dei marinai francesi (da cui forse il nome) che nelle innumerevoli risse alle osterie, i livornesi strappavano dai loro berretti, mostrandoli poi come trofei .
Ingredienti: 1 pollo, lingua salmistrata (v. ricetta), fegatini di pollo, pistacchi
Lessare un pollo nel brodo con 1 cucchiaio di battuto di odori (vedi sale aromatizzato), disossarlo e tagliarlo a piccole strisce. Mettere in uno stampo la galantina, quindi riempire la forma con pollo alternandolo con strisce di lingua (v. ricetta) , con fegatini a pezzetti (cotti precedentemente con olio e un po' di cipolla a fette sottili), con tartufi (facoltativo) e pistacchi a volontà. Riempite lo stampo con altra galantina e lasciate in frigorifero. Servite questo piatto freddo.
Ingredienti: 400 g di carne di vitello macinata due volte, 100 g di lingua tritata finemente, 100 g di fegatini cotti tritati finemente, 2 uova intere, 1 bicchierino di marsala, sale, pepe, 2 cucchiai di pistacchi
Procedimento: mettete tutti gli ingredienti in una ciotola e
mescolate bene fino ad ottenere un composto ben omogeneo. Per ultimi
aggiungerete i pistacchi interi che avrete sbucciato dopo averli
immersi per qualche minuto nell' acqua calda.
Datele la forma
allungata di un polpettone, avvolgetela in un canovaccio da cucina,
legate le sue estremità con dello spago ed immergetela in una
pentola piena di acqua con 1 cucchiaio di odori. Fate cuocere a fuoco
lento e calcolate circa un'ora e mezza da quando l'acqua incomincia a
bollire.
Mentre la carne bolle, preparate la gelatina (potete trovarla in
cubetti al supermercato seguendo le istruzioni della
confezione) e fatela indurire in frigorifero.
Trascorso il tempo
prescritto, togliete la carne dal fuoco, fatela raffreddare e, quando
è tiepida, liberatela dal canovaccio e tagliatela a fette non
troppo grosse che adagerete sul piatto di portata ricoperto da un
letto di gelatina ben fredda, tritata sottilmente.
Ingredienti: 100 g muscolo manzo tagliato a pezzi dello spessore di 3-4 cm., 500 g. pomodori pelati, 1 litro brodo vegetale, 2 cipolle, 1 spicchio aglio, 3 patate, 10 gr. farina bianca, ½ cucchiaino paprika, olio.
Procedimento: soffriggo nell’olio la carne, cipolle a fettine e l’aglio schiacciato per qualche minuto. Aggiungo paprika, sale, farina, pomodori e, mescolando accuratamente, verso ¾ del brodo.
Copro, lascio cuocere a fuoco lento per circa 1 ora e mezzo, verso il restante brodo e completo la cottura a fuoco vivace per 30 minuti, aggiungendo le patate a spicchi.
BOLLITO
Quando in cucina regnava l'economia, quando le nostre nonne, come per magia, con un avanzo e tanta fantasia, creavano piatti da "leccarsi le dita", una volta alla settimana si preparava la minestra in brodo e il "secondo" era ovviamente il lesso, poco gradito ai bambini, così che avanzava sempre e, naturalmente, veniva riciclato per un secondo pasto.
SUGGERIMENTI:
- Se vuoi preparare un buon brodo immergi la carne nell’acqua fredda, se invece vuoi un buon bollito immergi la carne quando l’acqua bolle.
- Per preparare un lesso morbidissimo, aggiungi all’acqua di cottura qualche cucchiaio di acquavite. Il sapore non si sente e la carne risulterà più tenera
Le seguenti ricette sono di origine livornese al cento per cento.
Rosso come le camicie garibaldine, i livornesi hanno dedicato questo piatto "proletario" a Garibaldi, che a Livorno era "di casa" e aveva molti amici.
Ingredienti: Lesso avanzato, patate (tante, se la famiglia era numerosa), aglio, ramerino, olio d'oliva, pomodori rossi maturi e/o conserva di pomodoro.
Soffriggere leggermente aglio e ramerino nell' olio, unire pomodori freschi (o passato di pomodoro in confezione) e un cucchiaio di conserva infine le patate a tocchetti. Quando sono cotte aggiungere un po' d'acqua e rovesciare nel tegame il lesso spezzettato. Girare. Bastano pochi minuti. Il piatto "rosso" è pronto.
La lingua salmistrata è un prodotto tradizionale della cucina veneta e padovana in particolare. Il processo di salmistrazione consente di rendere conservabile a lungo la lingua bovina, ed è uno dei numerosi metodi utilizzati dalla tradizione contadina per la conservazione delle carni.
E' una lingua di bovino, del peso medio di 1 kg, che ha subito un particolare trattamento in fusione. Può essere aromatizzata anche con aglio, rosmarino, pepe in grani e chiodi di garofano. Al taglio si presenta rosata, dal profumo gradevole e dal gusto delicato; si taglia facilmente in fette compatte ma la carne è morbida e friabile.
Il termine “salmistro” deriva da “salnitro”, cioè il nome popolare dato al sale, che è l’ingrediente fondamentale per la preparazione di questo prodotto.
Il salnitro facilita la conservazione della carne e soprattutto garantisce che il colore rimanga rosso e non volga a una poco appetitosa nuance di grigio topo. È ovviamente una sostanza assolutamente innocua per l’organismo umano ed è, infatti, molto impiegata nell’industria alimentare e soprattutto per gli insaccati.
Una volta che il salnitro è del tutto assorbito dalla lingua, bisogna prenderla e metterla arrotolata in una terrina con il sale sul fondo e di nuovo cospargerla di sale.
Coperta con un piatto e schiacciata da un peso (un paio di chili vanno bene) deve restar in macerazione per 3 o 4 giorni: a dire la verità l’Artusi suggerisce 24 ore, altri libri 3 giorni, ma personalmente opterei per una settimana... in frigorifero ovviamente. Diciamo, quindi, un tempo variabile fra 1 e 7 giorni a discrezione dell’artefice.
Dopo di che estrarrete la lingua, la laverete molto bene in acqua fredda e poi la immergerete in acqua già bollente per due ore. Appena levata dal brodo, senza aspettare neanche un minuto, bisogna levare la pelle, altrimenti non si leverà più, perché solo quando è molto molto calda lo strato superficiale sarà separabile dal muscolo. Si staccherà molto facilmente, come una pellicola.
A questo punto la lingua è pronta per tutti i suoi impieghi: un secondo delizioso così com’è, ancora calda e servita con le patate bollite e la salsa verde. Oppure lasciata raffreddare e tagliata sottile come antipasto insieme ad altri salumi o semplicemente decorata con un filo d’olio. Oppure ancora, come prelibato completamento nel ripieno di un cappone! Chi più ne ha più ne metta!
Strinare, lavare e asciugare un'oca di circa 1,800 Kg. Salare e pepare e mettere nella pancia 1 arancia lavata e bucherellata con una forchetta. Legarla e metterla in forno. Quando l'oca sarà cotta toglierla dalla teglia e sgrassare il sugo di cottura. Al sugo sgrassato unire il succo di 1 o 2 arance più mezzo limone spremuto nel quale sarà stato sciolto 1 cucchiaio di farina; aggiungere 2 bicchierini di Cointreau, mescolare e portare a ebollizione. Intanto si lessano per circa 15 minuti la buccia di 2 arance e 1 limone tagliate a listelle. Unire al sugo. Tagliare a pezzi l'oca tenuta in caldo e al momento di servire versarci sopra il sugo bollente.
PAJATA IN UMIDO - Si tratta dell'intestino tenue di manzo (il più gustoso), di vitello, ed anche di agnello e di capretto, contenente ancora il chimo, sostanza ricca e cremosa. Anche questo piatto fa parte della tradizione giudaico–romanesca. La pulizia della pajata risulta abbastanza elaborata, ma oggi la si può trovare in macelleria già preparata.
Lavare delicatamente circa 1Kg di pajata. Pulirla per bene.
Tagliarla a pezzetti e legare le estremità con un filo formando delle ciambelline.
Far colorire la carne in un trito di sedano, carote e cipolle tagliati finemente, peperoncino a piacere, bagnarla con un bicchiere di vino bianco e quando il vino sarà evaporato aggiungere 300 g di salsa di pomodoro, regolando poi il sale.
Far cuocere a fuoco basso per circa 2 ore aggiungendo acqua finché non si formerà un sugo denso e saporito con il quale si potrà anche condire la pasta.
CURIOSANDO: La pajata fu oggetto di aspre discussioni rabbiniche perché sembrava che contravvenisse al divieto di mescolare la carne con i latticini. In realtà la pajata è kasher nonostante gli intestini, che sono fatti di carne, contengano il latte di cui si ciba il vitellino. Questo perché, dal punto di vista ebraico, ogni cibo una volta ingerito non è più considerato quello che era in origine e quindi non si produce quella mescolanza carne-latte proibita dalla Torà. In ogni modo mamma usava pulire perfettamente anche l'interno.
Per 1 kg di pollo:
250 ml di panna vegetale da cucina
2 cucchiai di olio extravergine d'oliva
1 cipolla grossa
2 cucchiai colmi di curry
q.b. di sale
q.b. di pepe o 1 peperoncino
100 ml circa di vino bianco secco
succo di limone non trattato
farina bianca
riso pilaf
Tagliate il pollo a pezzi e versarlo in una ciotola aggiungendo un filo d’olio,
1 cucchiaio colmo di curry, il succo
di mezzo limone, il pepe ed il sale.
Lasciate il pollo in fusione almeno un’ora per farlo insaporire.
Trascorso il tempo necessario, appassite in padella 1 cipolla tritata con 1
cucchiaio di olio e 1 di acqua quindi rosolate i pezzi di pollo precedentemente
infarinati
Quando il pollo sarà dorato, sfumate con il vino bianco secco, coprite e
proseguire la cottura a fuoco dolce per circa 20 minuti. Se si asciuga troppo
unite un po' di acqua.
Nel frattempo, preparate la salsa di accompagnamento mescolando la panna con un
cucchiaio di curry.
Una volta pronto distribuite la salsina al curry direttamente sopra il pollo,
mescolate e chiudete con il coperchio per insaporire bene, per 5 minuti.
Intanto, preparate il riso: in una casseruola fate tostare in olio bollente il
riso, salatelo e copritelo con acqua bollente. Cuocere con coperchio.
In un vassoio disporre il riso pilaf caldo e versate sopra il pollo al curry. Si
può guarnire con fette di banana e ananas.
Servite caldo.
Occorrente: fette di petto di pollo spianate e sottili (calcola una larga fetta a persona), uova, farina, pane grattugiato, zucchini, sale e pepe, olio di semi, aceto, prezzemolo.
Preparazione: battete le fette di petto di pollo fino a renderle sottili, passarle nella farina, bagnarle nell'uovo battuto poi nel pane grattugiato. Friggerle in abbondante olio di semi a fuoco basso per favorirne la cottura e non bruciarle; adagiatele su un piatto da portata dopo averle asciugate con carta scottex. In una padella a parte cuocete a fuoco lento gli zucchini tagliati a dadini sottili con l'olio, conditi con sale e pepe. Durante la cottura schiacciatele con la forchetta fino a renderle quasi cremose. Quando sono cotte e leggermente soffritte, aggiungere un po' d'aceto e lasciare evaporare. Scolare e versare sopra ogni fetta di pollo già pronta fino a coprirla completamente e cospargere un po' di prezzemolo fresco, lavato, asciugato e spezzettato. Lasciare raffreddare e consumare il pollo così preparato freddo. Vi assicuro che è un secondo piatto fresco, profumato, appetitoso e gradito a tutti nelle calde sere d'estate.
Le mie famosissime POLPETTE DI CARNE
50 g di carne macinata a persona (manzo o vitellone), 1 pugno di pane bagnato nell’acqua e strizzato (per Pesach 2 cucchiai di azzima pesta), spicchio d’aglio tritato, 1 uovo intero per ogni etto di carne, olio d'oliva extra, sale.
Si mescolano tutti gli ingredienti e si formano le polpette.
Si possono cuocere nel sugo di pomodoro, o friggere passandole nel pangrattato (io uso sempre l'azzima pestata), o unire nella cottura di qualsiasi verdura.
La ricetta è semplicissima e arcinota ma, non so perché, le mie polpette riscuotono sempre un grande successo.
POLPETTE CON CONTORNO DI INSALATA
Pietanza toscana
Per questo piatto l'insalata ricciolina è la più indicata.
Soffriggere nell'olio uno spicchio d'aglio e unire l'insalata lavata e colata, con un pizzico di sale (1 peperoncino facoltativo). A cottura quasi ultimata aggiungere le polpette di carne (vedi ricetta) e si termina la cottura.
SI USA PER PESACH
Ingredienti: circa 350/400 g. di tacchino macinato, 6/7 cucchiai di azzima pesta (se non è Pesach va bene anche pangrattato o un pugno di pane ammollato) 3 uova, sale, olio, succo di limone.
Procedimento: amalgamare il macinato con l’azzima pesta, le uova, un pizzico di sale, qualche goccia di limone e modellare un polpettone.
Scaldare l’olio in una teglia, adagiarvi il polpettone e farlo rosolare da tutti i lati. Aggiungere due bicchieri di brodo e un po’ di sale. Quando inizia a bollire coprire con un coperchio e lasciar cuocere per un’oretta girando il polpettone 2, 3 volte. Il sughino alla fine deve risultare un po’ ristretto.
Una volta che il polpettone si è raffreddato completamente, tagliare a fette piuttosto sottili, ma non troppo altrimenti si spezzano. Servire caldo accompagnato dalla salsina.
Le prime testimonianze sulla produzione del prosciutto d’oca, come confermano gli archivi storici della comunità israelitica, risalgono al 1400. In quel periodo, infatti, le famiglie ebraiche che popolavano la zona di San Daniele erano solite produrre un prosciutto d’oca, usanza ancora oggi viva e molto probabilmente originaria della tradizione culinaria della Mitteleuropa.
La coscia va lavata e messa sotto sale per 3/4 d'ora, poi si rilava e si asciuga bene. Si condisce con un pizzico di salnitro, 1 cucchiaio e mezzo di sale e mezzo cucchiaio di pepe bianco. Appenderlo poi in un luogo asciutto. Quando la carne comincia a diventare scura, è pronta. Si serve affettato.
PROSCIUTTO DI PETTO D'OCA - 1 kg polpa magra d'oca, 1 kg e mezzo di pancetta d'oca, 1 kg e mezzo di grasso d'oca. La carne va lavata e messa sotto sale per 3/4 d'ora, poi si rilava e si asciuga bene. Si taglia a strisce tutta la carne, il grasso e la pancetta, quindi vi si unisce un pizzico di salnitro, 2 cucchiai e mezzo di sale e mezzo cucchiaio di pepe bianco. Anche la pelle dell'oca va trattata come la carne e quando è ben asciutta si cosparge all'interno di sale e pepe e si riempie. Alla fine si cuce, si lega e si appende in luogo aerato.
CURIOSANDO - GLI EBREI E S. DANIELE
Fin dal basso Medioevo S. Daniele ebbe un nucleo ebraico che prosperò con alterne vicende fino alla guerra del 1915/18. Tracce certe della loro presenza, prima dell'Era Volgare, si trovano in Aquileia, mentre a Cividale esse risalgono al 1200.
Il primo insediamento ebraico stabile a S. Daniele è del 1548, anno in cui fu concessa a Simone ebreo del fu Benedetto, la possibilità di aprire un banco di prestiti nella città. In questo particolare momento di crisi economica che pervade il Friuli, la necessità di prestiti in denaro diviene esigenza di tutte le classi sociali.
In seguito altre famiglie si unirono a quella di Simone; nell'immigrazione l'ebreo conduceva con sé familiari, dipendenti ed un socio, seguito a sua volta dalla propria famiglia, cominciando a formare il primo nucleo della Comunità.
Il Consiglio Laterano, che aveva portato gli ebrei ad occuparsi del prestito di denaro ad interesse, aveva loro precluso il lavoro agricolo (non potevano possedere terreni), limitando le possibilità di sostentamento ai proventi di attività commerciali ed artigianali. Inoltre i primi ebrei giunti a S. Daniele erano colpiti da tasse di ogni genere, quali quelle di viaggio, di commercio, di matrimonio, nascita e morte. Tuttavia alcune professionalità e competenze ebree erano molto apprezzate dai cristiani, come ad esempio la professione del medico.
Agli inizi del 1700 la Comunità sandanielese si trovò a vivere i momenti di maggiore fortuna: nel 1714 fu eretto il Monte di Pietà e fu interdetto il banco dei prestiti su pegno agli ebrei. Pertanto l'operosità si riversò in nuovi settori quali l'oreficeria e la produzione della seta, tanto da raggiungere un livello di ricchezza tale da consentire loro di avere una voce nella politica della città.
Come si deduce da suppliche inviate alla Comunità, gli ebrei potevano inoltre commerciare cavalli, bovini ed altri specie di animali sia nelle proprie case che in appositi locali, ad esse esterne. Nelle loro botteghe vendevano qualsiasi tipo di merci, i cui prezzi erano controllati rigidamente dalle autorità. In caso di scorrettezza, il venditore veniva punito con una multa, la confisca dei prodotti e l'allontanamento dall'attività per almeno tre anni.
Nella cittadina collinare gli ebrei non vivevano in un vero e proprio ghetto, abitavano al centro dei vari borghi. Essi, però, avevano l'obbligo di portare sull'abito un segno ovale di tela gialla e di indossare un cappello nero contornato da una cordicella gialla; naturalmente alcune persone di spicco della comunità erano esentate da tale obbligo.
Un rabbino curava l'istruzione e l'avviamento alle pratiche religiose.
L'autorità suprema della comunità era rappresentata da un'assemblea generale (Kahal godol), composta dai capi famiglia del gruppo. Rabbini e studiosi godevano di grande stima. Le assemblee erano presiedute dai capi (Parnasim), che formavano i Vaad Katon o Consiglio deliberativo, eletti ogni due anni con la funzione di svolgere i rapporti della comunità con l'esterno.
Gli ebrei di S. Daniele, come quelli delle altre comunità friulane, seppellirono per lungo tempo i propri morti nel Cimitero di Udine finché, rimasto chiuso nella nuova cinta muraria, divenne inutilizzabile.
Nel 1733 Joel Luzzato, a nome della comunità, chiese al Consiglio dei Dodici un terreno dove poter seppellire i morti. La domanda fu accolta e il 14 febbraio 1734, venne deliberata la locazione di un luogo solitario, in località Comigne, lungo le sponde del torrente Ripudio. Il contratto di affittanza, oltre a fissare il canone di affitto, impose norme rigide per le sepolture, che riguardavano il rapporto tra cerimoniale ebraico e religione ufficiale, e limitavano l'uso del cimitero ai soli ebrei residenti nel territorio comunale.
La comunità a più riprese tentò di ottenere delle migliorie; le assidue richieste permisero di ottenere nel 1752 l'affrancamento dell'affitto del cimitero ed il seppellimento dei morti indipendentemente dalla loro provenienza.. Il cimitero è attualmente attivo
Nel corso del '900 mano a mano la Comunità ebraica si smembra e si disperde e dopo la fondazione dello Stato di Israele, nel 1948, i beni di maggior pregio custoditi nella sinagoga vengono mandati nella nuova patria. In seguito, negli anni '60, l'edificio, abbandonato a se stesso, viene demolito per far posto a nuove abitazioni.
RADICCHIO FARCITO CON PETTI DI POLLO
Alcuni storici ritengono che il
radicchio sia una pianta di origine orientale, introdotta nei
territori della Repubblica di Venezia verso la fine del Quattrocento
e coltivata per la prima volta nella provincia di Treviso a partire
dal XVI secolo. Assunse importanza commerciale verso la metà
del XIX secolo. Dagli anni 60 in poi, la coltivazione di radicchio
rosso si diffuse in altre regione d'Italia
Occorre quindi un cespo
di radicchio rosso e fettine sottili di petti di pollo che
avrete lasciato macerare una notte in un composto di: olio, vino
bianco, sale, pepe, rosmarino e salvia tritata.
Aprire il cespo al
centro e inserire le fettine, ricomporre il radicchio e legarlo con
dello spago fine in modo che durante la cottura non esca la carne.
Spruzzate il preparato con vino bianco e fatelo cucinare al forno per
40-50 minuti.
Ottimo sapore e buona presentazione, farete un
figurone! (Ricetta dell'amica Romagnola)
RIFREDDO DI TACCHINO CON SPINACI
Si uniscono le fette di petto di tacchino una accanto all'altra in un'unica fetta, cucendole con ago e filo(si possono usare anche gli stuzzicadenti). Aggiungere sale, pepe, uno strato di spinaci insaporiti con la cipolla, uno strato di pistacchi (facoltativo), e si arrotola. Insaporire con sale e pepe e avvolgere il rotolo con una rete, oppure legare con lo spago (cucire i bordi con ago e filo), formando un grosso salame.
Si può cucinare lessato in poca acqua, quindi si lascia raffreddare nel suo brodo, oppure arrosto aggiungendo olio e mezzo bicchiere di vino.
ROAST BEEF ALL'INGLESE
Fate
rosolare a fuoco lento per qualche minuto nell’olio di
oliva.poi adagiatevi sopra la carne e fatela scottare su tutta la
superficie girandola con un cucchiaio di legno senza bucare la carne
durante la cottura. Salate, condite e mettete il tutto in forno caldo
per 15 minuti a 250°.
Trascorsi i 15 minuti, irrorate il vostro roast beef con il vino rosso per poi richiudere il forno per altri 15 minuti.
Se volete che la carne si colori di più nel centro, potete continuare la cottura per altri 10 minuti circa.
Ingredienti per 4 persone: 4/6 scaloppine di vitello, oppure fette di tacchino - 3 cucchiaiate colme di olive verdi snocciolate e tritate non troppo finemente insieme a 1 cucchiaio di capperi - 1 abbondante ciuffo di prezzemolo - poco brodo di dado - 2/3 spicchi di aglio - sale - pepe - farina - olio.
Esecuzione: infarinare le fette di carne; in una larga casseruola rosolare per qualche minuto nell'olio le olive tritate insieme ai capperi e aglio. Unire le fettine infarinate, sale e pepe, e cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti, girandole una sola volta. Se necessario aggiungere un po' di brodo. A cottura ultimata cospargere di prezzemolo tritato e spengere il fuoco, lasciando riposare la pietanza per pochi minuti a tegame coperto prima di servire.
Si friggono leggermente nell'olio caldo le fettine infarinate, quindi si aggiunge il sale e un bicchiere abbondante di Marsala. Lascia evaporare per qualche minuto e servire ben caldo
CURIOSANDO
- Il Marsala è un vino liquoroso DOC prodotto
in Sicilia, nel comune di Marsala e in quasi tutta la provincia di
Trapani. All'origine il metodo di invecchiamento utilizzato dalla
gente del luogo consisteva nel rabboccare le botti che contenevano
una parte del vino consumato durante l’anno con il vino di
nuova produzione, in maniera da conservarne le
caratteristiche.
Sembra che il commerciante inglese John
Woodhouse, approdando con la nave su cui viaggiava nel porto di
Marsala (1773), assaggiò questo vino così
trattato e gli piacque a tal punto che decise di imbarcarne una
cinquantina di barili. Quel vino siciliano poco costoso riscosse in
Inghilterra un grande successo, tanto che Woodhouse decise di
ritornare in Sicilia e di iniziarne la produzione e la
commercializzazione. Nel 1833 l'imprenditore siciliano Vincenzo
Florio, iniziò a Marsala la produzione, in concorrenza con le
aziende inglesi.
Ingredienti: 300 gr di magatello, 200 gr di salsiccia di manzo, 300 gr di petto di pollo, 2 peperoni rossi, olio extravergine d’oliva, sale e pepe (o peperoncino tritato), succo di 1 limone, 1 spicchio di aglio, 1 cipolla
Procedimento: La sera prima
tagliare
a cubetti la carne e il petto di pollo. Tagliare a pezzi
della stessa dimensione anche la salsiccia. Lavare gli ortaggi e tagliare i
peperoni, dopo avere eliminato i semi ed i filamenti interni, a quadretti e le
cipolle a foglia. Unire tutti gli
ingredienti in una ciotola capiente con succo di limone, battuto di
aromi e
spezie (vedi ricetta), aglio tritato, olio, sale e pepe. Lasciarere
in fusione per una notte. Infilzare quindi sugli spiedini la carne
alternandola agli ortaggi.
Nel caso di cottura alla griglia farla prima ben
scaldare e posizionare poi gli spiedini uno accanto all’altro. Girarli per farli
cuocere in maniera uniforme e bagnarli di tanto in tanto con il liquido di
marinatura.
Nel caso in cui preferiate la cottura al forno disporre
gli spiedini con il liquido della marinatura
in una teglia, irrorare con mezzo bicchiere di vino rosso
ed infornarli a 200 °C per circa 20-25 minuti, girandoli qualche volta e
bagnandoli durante la permanenza in forno.
Si possono cuocere anche in padella, sempre con con un po' di liquido della marinatura e una spruzzata di vino rosso.
Ingredienti: 1 kg di petto di tacchino tritato, 200 g di pane secco, 2 uova, 5 limoni, prezzemolo tritato, 2 spicchi d’aglio tritati, olio d’oliva, sale e pepe.
Lavate asciugate e tagliate i limoni
a fette, tagliate le fette più grandi a metà.
Ammorbidite
il pane nell'acqua, poi scolatelo strizzatelo e amalgamatelo alla
carne di tacchino macinata.
Unite le uova, l’aglio, un filo
d'olio e il prezzemolo, sale, pepe e lavorate il tutto fino ad
ottenere un impasto compatto.
Formate con esso tante polpettine
dalla dimensione di una noce, infilate le polpette in lunghi spiedini
di legno alternandole alle fette di limone.
Adagiateli su una
teglia foderata di carta forno, ungete con olio e infornate a180°
per circa 15 minuti girandoli spesso.
STRACOTTO ROMANO
Ingredienti : 1/2 kg
di Piccione di manzo, 2 l pomodori pelati e passati, 1 cipolla di media
grandezza, q.b. di Olio d'Oliva Extra Vergine, q.b. di Sale, q.b. di Pepe.
Procedimento: Come prima cosa tagliate a cubetti grossi il taglio di carne
(piccione di manzo)
Scaldate l'olio EVO in una pentola dai bordi alti e soffriggete la cipolla
finemente tritata, fino a farla appassire (non bruciare), quindi aggiungete la
carne e fate rosolare per circa 30 minuti, accertandovi che la rosolatura sia
uniforme per tutti i pezzi di carne.
Frullate i pelati di pomodoro e versate in pentola, fate cuocere per 3 ore,
girando di tanto in tanto (ogni 30-40 minuti)
Per un ottimo risultato, aspettate che il pomodoro sia ben cotto e che i
pezzettoni di carne comincino a sbriciolarsi, fondendosi col pomodoro.
Una volta terminata la cottura, servite ben calda a tavola...ottima accompagnato
da qualche fettona di polenta calda; l’ideale sarebbe addirittura cucinarlo il
giorno prima e riscaldarlo molto lentamente al momento di metterlo in tavola:
diventerà ancora più buono e saporito .
Non solo: la carne andrebbe servita su un piatto preriscaldato e ricoperta con
il sugo di cottura, in modo da renderla ancora più tenera e succosa.
SUGGERIMENTO:
lo stracotto si accompagna bene con riso pilaf, con polenta, oppure
con panetti di farina bianca, facili da eseguire: mettete sul fuoco
una pentola capiente con 2 litri d'acqua e un po’ di sale.
Quando l’acqua bolle versatevi 500 g di farina, tutta insieme
e senza girare. Introducetevi un cucchiaione di legno
al centro e lasciate bollire per un'ora e mezza circa, aggiungendo
acqua, se occorre.
Passato questo tempo, togliete
con un mestolo forato il polentone dall’acqua e mettetelo nel
frullatore aggiungendo qualche cucchiaio di acqua della cottura.
Quando sarà tutto ben amalgamato, togliete dal
frullatore e dividetelo in tanti panetti che disporrete poi nel
vassoio, guarnendoli di stracotto.
CURIOSANDO - Lo stracotto è una ricetta tipica della cucina romana ebraica che si prepara abitualmente in occasione dello Shabbat
La sera precedente pulisco bene il tacchino (ottimi pure i quarti di tacchino o la fesa) e lo metto in una zuppiera ampia e profonda. Condisco con battuto di aromi per arrosti (vedi ricetta), sale, fettine di cipolla tagliate fini, succo di limone e olio di oliva. Lo lascio in fusione in frigorifero.
Il giorno successivo, dopo aver acceso il forno a 200°, metto il tacchino in una teglia capace e sufficientemente profonda da raccogliere il sugo, aggiungo un bicchiere di vino e lo inforno per circa 2 ore, spennellandolo spesso col suo condimento. Se si asciuga troppo si può aggiungere qualche cucchiaiata di acqua.
La cottura si può verificare con un taglietto nell'attaccatura della coscia, se uscirà un po' di liquido chiaro, il tacchino è pronto, se invece il liquido è ancora rosato avrà bisogno di qualche minuto in più di cottura.
Ingredienti:
Una
tasca di vitellone da 1-1,200 Kg (fesa o noce che ho fatto incidere
dal macellaio)
3 uova + 2 uova sode
350gr di macinato di
vitellone
3 cucchiai di pangrattato
1
cipolla tagliata fine
vino, olio, 1 limone, aromi per condire arrosti (come quelle bustine che trovi alle volte nelle confezioni di pollo. Se nn lo sai preparare puoi comprarlo già fatto)
Preparazione della carne macinata:
ho mescolato la carne con
3/4 cucchiai di pangrattato (meglio azzima pesta), 3 uova, un pizzico
di sale e un po' d'olio
Prendere la tasca, inserire un po' d'impasto, mettere 1 uovo sodo, aggiungere un po' per volta l'impasto, in modo che sia compatto. Unire l'altro uovo sodo e per finire l'altro impasto rimasto. Cucire con ago e filo bianco o, meglio, chiudere con uno spiedino
Condire col sale, aromi, succo di 1 limone, la cipolla tagliata a fettine sottili e olio
Lasciare in fusione 1 notte
Il giorno dopo cuocere in forno la tasca con 1 bicchiere di vino rosso
Si cuoce in forno ventilato a 200 gradi per circa 30 minuti.
TORTIGLIONI DI CARNE di Giuditta Pavoncello
Preparare la pasta sfoglia
con: 400g. farina, ½ bicchiere di olio, ½ bicchiere di acqua, ½
cucchiaino di sale, 1 cucchiaino di bicarbonato - Impasto e faccio riposare,
coperta con un canovaccio, per circa mezz'ora, infine stendo col matterello.
Per il ripieno: carne
cotta di qualsiasi tipo, di solito carne lessa o scarti economici anche di
pollo, o carne qualsiasi avanzata, un po' di
avanzi di piselli o carciofi o zucchine, 1 cipolla lessata. Mescolare il tutto
nel frullatore con sale e pepe. Stendere la pasta tagliarla a quadrati e
riempirli con la carne condita. Chiudere e friggere in padella.
TRIPPA ALLA ROMANA
Risciacquare abbondantemente kg. 1 di trippa, tagliarla a pezzi piuttosto grandi e metterli in un tegame con acqua, sale, cipolla, un gambo di sedano e una carota, tutto tagliato a pezzi.
Si cuoce a fuoco lento per almeno 5 ore, schiumando ogni tanto. Affettarla poi a striscioline sottili, lavarla e scolarla di nuovo.
Mettere la trippa in un tegame di coccio e soffriggerla con olio d’oliva, aglio. Basilico, mentuccia romana e un bicchiere di vino bianco secco, lasciando evaporare.
Aggiungere i pomodori pelati, sale e pepe e del brodo (anche di dado) fino a completa cottura.
VITELLA ARROTOLATA SALATA Petto di vitello
Sulla vitella si sparge abbondante salnitro, quindi si arrotola,
si lega ben stretta e si mette sotto sale grosso per 8 giorni. Poi si lava bene con acqua corrente e si mette a bollire per almeno 2 ore in abbondante acqua con: chiodi di garofano, sedano, carota, cipolla, (NO SALE). Infine si lascia riposare in frigo pressandola con un peso. Si serve a fette molto sottili.
Lessate 1 Kg. di polpa di vitello (ottimo il girello o magatello) per un'ora e mezza in acqua bollente con un cucchiaio di battuto di odori (vedi ricetta) e una foglia di alloro. Tenetelo per 2 giorni in frigo immerso nel suo brodo. Si serve freddo, affettato e coperto di salsa tonnata (vedi ricetta). Guarnire con qualche cappero, fettine di limone e ciuffi di prezzemolo